Undici e cinquantacinque

La chiesa odorava di incenso. La luce, passando per le finestre sottostanti la cupola, inondava le navate del suo chiarore. Il Monsignore guardava soddisfatto puntando il suo naso adunco verso la folla, mentre il corteo dei chierichetti che recavano dei grossi candelabri usciva dietro al turibolo agitato e fumigante. La musica dai bassi carichi dell’anziano organista creava un’atmosfera solenne, di signori eleganti nei primi banchi e ragù della domenica lasciato a fuoco lento per ore ed ore.

La gente cominciava a defluire, e ad un certo punto un piccione si fece sull’altare. Il Monsignore lo vide e cercò di scacciarlo via agitando lentamente il piede, come la sua età avanzata gli consentiva. Questi non si mosse, ed anzi, beccando per terra si diresse verso il prelato.

La folla non fece caso a quella scena, se non nella persona di Taddeo, l’organista di riserva. Suonava nelle domeniche “normali”, dato che il signor Cistaris, che aveva invece prestato servizio in quella solennità, viaggiava ormai verso la novantina.

“Taddeo, per favore, fallo volare via” lo esortò il Monsignore. L’organista obbedì, andando fin sull’altare a battere le mani al volatile, che però di abbandonare l’abside non ne volle proprio sapere. Svolazzò con un tremolio da piccione disturbato nelle ali fino al seggio del prelato, e quando Taddeo tentò di farlo spostare anche da lì, si appollaiò proprio sopra la Bibbia e la scritta “Io sono via, verità e vita” incisa sul marmo del leggio.

“Non sei nemmeno in grado di far volare via un uccello! Muoviti, prima che sporchi il Libro” starnazzò il prelato aprendo le braccia.
“Don” rispose Taddeo, al quale “eccellenza” pareva troppo, “io ci ho provato, ma lo vede com’è, non vuol saperne di andarsene. Che faccio? Gli sparo?”.
“Sparare in chiesa? Proprio mentre è posato sulla Parola di Dio? Sacrilegio! Ma come ti vengono in mente?”.
L’organista avrebbe voluto specificare che scherzava, che era solo un paradosso, quello dello sparare, ma c’era un piccione da cacciare, e così non si perse in chiacchiere e si diresse verso il transetto, prendendo il raccoglitore dei brani da suonare che era poggiato sopra l’organo, e tornando verso il leggio lo agitò furiosamente.
“Vai via, non si può restare qui, hop, hop”.

“Chi credi che io sia?” disse il piccione.
“Iiiih” esclamò il Monsignore “miracolo!”.
“Fai silenzio, fariseo” lo sferzò l’uccello.
“Perché fariseo?” chiese Taddeo, mentre il prelato si esibiva in un’espressione di sorpresa poggiandosi la mano sul petto.
“Le tue prediche contro i fratelli di altre religioni mi hanno stufato”.
“Ma… tu chi sei?” chiese il Monsignore detergendosi la fronte imperlata di sudore.
“Servo malvagio e infingardo, è arrivato il momento di darti ciò che è tuo”.
“Cosa…” mormorò, ma non fece in tempo a dire altro, perché dalle finestre sotto la cupola un nuovo sole si portò sulla parrocchia di San Paolo. Quando la luce si affievolì, Taddeo era ancora vicino al leggio: batteva le palpebre strabuzzando gli occhi.

“Vai da lui” ordinò il Monsignore con una strana nota nella voce. La campana suonò mezzogiorno.
L’organista, senza troppe speranze, allungò la mano, ma con sua grande sorpresa fu proprio il piccione ad accomodarsi sulle sue dita svolazzando.
“Portalo fuori e spezzagli del pane”. Taddeo, sorpreso, eseguì, e portandolo fuori osservò con attenzione l’uccello.

Proprio mentre lo guardava, quel becco adunco si aprì. Come a volergli dire qualcosa, il volatile cominciò a tubare furiosamente agitando le ali.
“Curioso” disse l’organista, e non potè fare a meno di trovarlo familiare.

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