È difficile definire la società umana, se non siete mai stati a guardare dal fondo di una sala d’attesa aeroportuale: da qui si capisce molto di ciò che succede intorno a noi e nel mondo. Alcuni esempi presi qua e là.
Lei, in tuta, parla al telefono, rigorosamente in viva voce, un dialetto della Sicilia interna. Ha la sciarpa del Milan legata alla valigia. Lui, scarpe rosso plastica, ha la maglia celebrativa della seconda stella dell’Inter. Trascinano i bagagli avanti e indietro, mi sono già passati davanti due volte.
Di fronte a me, famiglia con tre bambini. Due si sono seduti accanto a me e il padre li ha cacciati, dicendo di non disturbare. Tento di difendere i frugoletti rassicurando il padre, ma in realtà sono falso come Giuda, dato che conosco i miei polli e il bimbo più piccolo ha tutta l’aria – e lo sta già confermando – di essere quello che fa più casino di tutti.
Alla mia destra, una signora sulla quarantina. In barba a qualunque scaramanzia possibile ha aperto l’ombrello e lo sta asciugando con un fazzoletto. Ha un piumino di un rosa che non ho mai visto in commercio, e una volta terminato rigorosamente il suo compito, ha preso a risolvere una rivista di enigmistica sotto lo sguardo non troppo partecipativo del compagno.
A complemento, militari con fucili lunghi metà del loro corpo e manganelli. Parlano di calcio, e credo che si annoino in maniera importante, per fortuna. Io, per me, cerco dei negozi senza rendermi conto che quelle tre vetrine dove vendevano valigie sono diventate un enorme bar pasticceria a prezzi gonfiati.
E poi i morti viventi. Gente che presumibilmente accusa la stanchezza di ore ed ore di scalo. Piegati in posizioni nelle quali farei fatica a stare sveglio – figuriamoci a riposare – dormono della grossa, annientati dalla grande polvere del sonno aeronautico. A lato ci sono gli imbarchi, bambini che corrono avanti e indietro come agnellini al pascolo, vestiti in colori sgargianti. Una sudamericana sente ad altissimo volume le telenovelas al telefonino davanti alla macchinetta del caffè, fregandosene di tutto e di tutti, e nella fattispecie mi pare che nell’episodio in questione lui tenti di uccidere lei. Per rassicurarvi, lei a quanto sento chiama la polizia: tutto bene.
Ogni tanto mi chiedo come facciamo a fare stare insieme tutta questa umana pluralità, e soprattutto come si possa fare a reprimerla in una dittatura. Poi però guardo quello che fissa il telefonino da quando ho iniziato a scrivere, e allora penso che forse siamo tutti schiavi di qualcosa senza accorgercene. Vi saluto, forse chiedo una patatina alla mia vicina di sinistra.
Buon viaggio.